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Lucrezia o dell'invidia

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Messaggio  Aster_x Lun Apr 08, 2013 8:58 pm

Lucrezia o dell'invidia
di Tancredi Massimiliano Shatille Cenci




In un tempo non molto antico, in un paese non molto lontano, vivevano due sorelle di prodigiosa bellezza. Una si chiamava Isotta e aveva i capelli splendenti come il sole, gli occhi azzurri come il mare e il carnito pallido come la neve; l'altra era Lucrezia, i suoi capelli erano neri come la notte, i suoi occhi scuri e penetranti come quelli di un felino (e si diceva fossero capaci di incantare qualunque uomo) e la sua pelle castana e abbronzata.
Avevano tutto ciò che serve a questo mondo per vivere felici: salute, bellezza e prosperità. Ma Lucrezia invidiava profondamente Isotta, per una ragione che nessuno è mai riuscito a intendere. “Ella ha tutte le fortune” diceva “è la più bella, i migliori giovani corteggiano lei, e nonostante questo è amata non solo dagli uomini ma anche dalle donne”.
Un giorno arrivarono due fratelli mercanti in quel paese. I due erano molto ricchi e belli. Uno di loro vide Lucrezia e credette di innamorarsene perdutamente.
Dopo averla conosciuta, le chiese perciò la mano. Lucrezia fu lusingata da quell'offerta e accettò. “Che bello!” pensò “Egli è il più ricco e il più bello dei due e tutte le fanciulle del paese vorrebbero sposarlo, ma egli ha scelto proprio me!”. Non appena tornò a casa corse subito a dare la notizia alla sorella, la quale mostrò grande gioia e l'abbracciò. “Ma come?” disse Lucrezia “Sei contenta che io mi sposi con il giovane più desiderato? Non avresti voluto sposarlo tu? O sei insensibile tanto alla bellezza quanto alla ricchezza?”
“No, sorella mia” rispose Isotta “Anch'io sono rimasta affascinata da queste straordinarie qualità dell'ormai tuo futuro sposo, e mi rallegro che egli abbia scelto te, perché tu sei mia sorella e la tua felicità è anche la mia”.
Lucrezia, dunque, si apprestava al matrimonio tanto atteso, sebbene la gentilezza che la sorella continuava a mostrarle la turbasse non poco.
Un giorno, poco prima delle nozze, il suo promesso sposo le disse “Mia amata, io non sapevo che voi aveste una sorella e per giunta così bella, non me ne avete mai parlato!” Per un momento una nube offuscò il sorriso di Lucrezia “Ebbene è così” disse “ma cosa importa? Volete sempre sposare me, vero mio amore?”
“Ma certo, mia promessa, non dubitatene!” rispose il giovane “tuttavia mio fratello vedendola ne è rimasto affascinato e vorrebbe conoscerla”.
Queste parole furono come una pugnalata al cuore di Lucrezia. “Ecco che ancora una volta” pensò “a lei tocca il migliore. Sarà pur vero che il mio fidanzato è il più ricco e il più bello dei due, ma suo fratello in compenso è il più intelligente e il più simpatico”.
Poi si rivolse al suo promesso e disse “L'amore che nutro per voi mi obbliga a farvi una confessione. Mia sorella non è la donna gentile e onesta che sembra”. Il giovane la guardò stupito “Cosa dite mai?” domandò sconcertato. “Mia sorella in realtà fu l'amante di un bandito e partorì un figlio. Per non far sapere a nessuno del suo amore clandestino uccise la sua creatura quando aveva ancora pochi mesi. Ora per mantenere il segreto pratica la magia nera. Il suo pallore non è congenito ma è causato da queste tristi vicende. Nessun altro, tranne vostro fratello, deve sapere la verità, altrimenti la vita di tutti noi sarebbe in pericolo”.
L'ascendente che la fanciulla aveva sul giovane, e il suo sguardo ammaliatore, non permisero al giovane di dubitare delle parole della sua amata e rimase profondamente scosso da quella notizia.
Il giorno dopo Lucrezia si recò dal suo fidanzato, come sempre ma non lo trovò. Lo cercò in tutto il villaggio ma nessuno lo aveva visto. Quando tornò a casa sconvolta e preoccupata notò una lettera sotto la porta. La aprì e lesse:

“Mia dolce Lucrezia,
Vi chiedo scusa se mi avete cercato invano, ma le vostre parole mi hanno assai turbato. Non posso permettere a mio fratello di sposare una donna di tal fatta, ma non posso io nemmeno sposare voi. Vostra sorella potrebbe prima o poi sospettare che mi avete confidato qualcosa, di modo che la vostra vita si troverebbe in pericolo.
Per questo, con la morte nel cuore, devo dirvi addio.
Vi auguro ogni bene e felicità”

La lettera era anonima ma Lucrezia non ebbe dubbi sul mandante.
“Meschina che sono!” pianse “Ho fatto fuggire l'uomo che mi avrebbe reso felice solo per fare un dispetto a mia sorella!”. Ma poi per consolarsi aggiunse “Almeno, però, ella non potrà sposare quell'uomo ed essere più felice di me”.
La vita tornò quella di un tempo per Lucrezia e i giorni passarono. Quando una notte fu svegliata da un rumore che proveniva da fuori. Si affacciò alla sua finestra e riconobbe al chiarore lunare la figura di Isotta. “Dove starà andando a quest'ora?” si chiese “che cosa starà complottando a mia insaputa?”.
Quelle escursioni notturne si ripetevano perciò Lucrezia decise di seguire la sorella. Vide che questa aveva con sé un oggetto avvolto in un sacco e si recava in un bosco. Giunta vicino a un albero spostò una grossa pietra e vi sotterrò l'oggetto. Poi risistemò sopra la pietra di modo che nessuno si accorgesse di nulla e tornò indietro.
“Cosa avrà nascosto?” si domandava Lucrezia “forse un oggetto di valore che mi vuole tener nascosto”. Sollevò la pietra e raccolse l'oggetto misterioso. Lo liberò dall'involucro e vide che si trattava di uno splendido vestito da gala. “Ecco cos'era!” esclamò “un vestito! Ella dunque ha intenzione di recarsi a una festa di nascosto e non vuole che l'accompagni!” Gridò. “Ebbene non ci andrà nemmeno lei!” In preda alla rabbia prese il vestito e lo strappò. Poi recuperò i resti e li disperse in un torrente. Infine si guardò attorno, come una ladra che controlla che nessuno l'abbia vista, e corse a casa.
Qualche giorno dopo era il compleanno di Lucrezia. La mattina si svegliò e vide che Isotta non era in casa. Alcune ore dopo ella tornò, scura in volto. “Si sarà accorta” pensò Lucrezia “che il vestito non c'è più e che non può più andare al ballo” e provò un perverso piacere.
“Che cos'hai, sorella mia?” domandò “per caso ti è accaduta qualche disgrazia?”
“No, sorella” rispose quella “non mi è accaduto nulla”. Ma continuava a essere triste. Si capiva che un peso le attanagliava il cuore e adombrava il suo bel volto solitamente sempre sereno.
Alla fine non poté trattenere oltre le lacrime e scoppiò a piangere. “Lucrezia cara” disse tra i singhiozzi “non posso più nasconderti il pensiero che mi assilla. Oggi è il tuo compleanno e io volevo farti un regalo” guardò la sorella con dolcezza e riprese “avevo commissionato un abito al miglior sarto del villaggio e questi ne fece uno magnifico. Ma per paura che qualcuno lo rubasse lo nascosi sotto una pietra nel bosco, convinta che nessuno lì avrebbe potuto trovarlo. Ma stamane, tornando a prenderlo mi sono resa conto che era sparito...quell'abito era il mio regalo per te!” e riprese a piangere.
Lucrezia, nel frattempo, era impallidita. Sebbene il suo carnito fosse scuro, il suo turbamento non poteva essere camuffato. “Che stupida che sono!” si disse “Ho pensato che ella volesse tenermi nascosto qualcosa e invece non voleva altro che farmi felice”. Così scoppiò anch'ella in un pianto a dirotto e abbracciò la sorella “Non piangere, tesoro mio, perché io non meritavo un regalo simile ed è stato il Cielo infatti ad avermene privato!”

I giorni, i mesi, gli anni passarono in fretta e quell'episodio venne a poco a poco dimenticato e finì per dissolversi assieme al senso di colpa di Lucrezia.
Capitò una volta che un Principe passasse per quel villaggio e veduta Isotta fu talmente colpito dalla sua avvenenza, dalla sua grazia e dalla sua dolcezza che volle chiederle di diventare sua moglie.
Isotta, colpita dal fascino e dalla gentilezza del Principe, accettò di sposarlo e corse subito ad annunciarlo alla sorella, convinta che quella notizia non potesse darle altro che gioia.
Ma Lucrezia non appena lo seppe si rabbuiò.
“Come mai, sorella cara” le chiese Isotta “il tuo volto si rattrista? Non sei contenta per me?”
“Sono contenta, sorella” rispose Lucrezia “però mi dispiace che mi lascerai da sola e che non potrò più vederti”. Isotta sorrise, le carezzò i capelli e cercò di rassicurarla: “non temere, sorellina, verrò a trovarti ogni giorno, oppure potrai venire tu se vuoi, chiederò al mio sposo di preparare una stanza solo per te cosicché potrai farmi visita tutte le volte che vuoi”.
Ma quelle parole non avevano nessun effetto su Lucrezia che era come divorata da un tarlo. “Ancora una volta” rimuginava “la fortuna ha deciso di baciare lei e dimenticarsi di me. Sembra che tutta la felicità sia riservata a mia sorella... ella del resto non fa nulla per condividerla con me. Di sicuro mi offre una stanza del palazzo per non sentire le mie lamentele; di sicuro mi lascerà lì sola, come dentro una prigione dorata, mentre ella, da principessa, terrà feste e ricevimenti e farà la bella vita”.
Il tarlo cresceva, e le rodeva il fegato come l'aquila quello di Prometeo; era assillata dalla propria temuta infelicità futura e dalla, ancora più temuta, felicità della sorella.
Venne il giorno delle nozze e si tenne una festa sontuosa a Palazzo cui accorsero le famiglie nobili da ogni parte del Regno, le fanciulle sfoggiarono i loro migliori vestiti e i giovani rampolli le loro impeccabili uniformi militari. Tutti parevano felici e sembravano godere dell'evento, tutti tranne Lucrezia, che non si dava pace e cominciava ad essere sfiorata da pensieri cattivi. Ma a un certo punto le capitò di udire alcune damigelle conversare intorno a qualcosa che parve interessarla: “Si dice che il Principe” diceva una di loro “debba la sua fortuna e la sua grandezza a un talismano magico che egli conserva gelosamente e che nessuno ha mai visto...” incuriosita Lucrezia cercò di saperne di più ma non riuscì a ottenere altre informazioni.
Quando la festa ebbe termine e tutti cominciarono ad andarsene Lucrezia prese Isotta in disparte. “Sorella cara” le disse accoratamente “tu lo sai quanto io ti adori, e sai anche che non ci sono segreti tra noi, quindi permettimi di farti una domanda...” e si fermò puntando gli occhi su Isotta “Ma certamente” rispose quella “Anch'io ti adoro e non ti ho mai nascosto niente, chiedimi tutto quello che vuoi sapere”. Allora con un impercettibile sorriso di malizia sulle labbra Lucrezia cominciò a tessere la sua tela. “È vero, mia cara Isotta, che il Principe ha un talismano che si dice custodisca gelosamente al quale deve tutte le sue fortune?” Isotta la guardò sconcertata “Sì... ma perché mi chiedi questo?...” Lucrezia la fissò un attimo poi proseguì “Una semplice curiosità... dove lo tiene nascosto? Te lo chiedo per sapere se egli ti ritiene tanto degna della sua fiducia da condividere con te un segreto come questo” Isotta, che era apparsa un attimo spaventata, parve rassicurarsi: “Che sorella premurosa!” esclamò “Comunque, sì, mi ritiene abbastanza degna da farmi parte di questo segreto”. Lucrezia continuò “E allora dimmi, sorella adorata, dove tiene un tale prodigio?... Non vuoi dirmelo? Forse non mi ritieni meritevole della stessa fiducia che egli, che conosci da molto meno di me, ti ha concessa?” Isotta strinse le mani della sorella tra le sue e rispose “Lucrezia cara, sei meritevole della mia completa fiducia, scusami, ma sai, egli mi ha fatto giurare di non dirlo ad anima viva... del resto tu sei la mia unica sorella con cui giurai di condividere tutto...” Fece una pausa, quasi per prendere coraggio e riprese “Egli tiene l'amuleto sempre con sé cucito sotto la sua camicia, è piccolo e all'apparenza lo scambieresti per una pietra comune, per cui nessuno mai ci farebbe caso anche qualora la vedesse... ovviamente so che tu non lo dirai a nessuno” Lucrezia, trionfante, sorrise ed esclamò riuscendo a stento a trattenere la gioia “Certo, mia cara sorella! Porterò questo segreto nella tomba, lo prometto! Grazie per averlo condiviso con me!” E così dicendo salutò la ormai Principessa e scappò via.
Durante la festa Lucrezia aveva carpito alcuni pettegolezzi di palazzo. Uno di questi le aveva rivelato che regnava, in una regione confinante, un Signore nemico del principe che si diceva fosse tanto avido e cattivo quanto quest'ultimo era ritenuto buono e magnanimo.
Così, l'indomani, in preda a una febbrile eccitazione, fece preparare una carrozza e si fece condurre presso il Signore di cui aveva sentito parlare. Costui la ricevette con fare superbo, com'era suo solito.
“Cosa conduce da me la cognata del mio acerrimo rivale? Forse per trattare una tregua egli si fida più di una donna che dei suoi generali?” chiese sprezzante. “Non sono qui per il Principe, ma contro di lui” rispose prontamente Lucrezia. “Cosa intendete dire” domandò il sovrano subito incuriosito. Lucrezia sorrise e narrò del segreto appreso dalla sorella. “Dunque” concluse appena terminato il racconto “non dovrete far altro che rubargli un sassolino per mandarlo in rovina e appropriarvi di tutto il suo regno”.
Il Signore la guardò sospettoso e al tempo stesso interessato “Se è vero quello che mi dite, potrebbe essere una ghiotta occasione” disse “Ma come faccio a sapere che non mentite? Perché dovreste volere la rovina di vostro cognato, siete pazza o cosa?” Lucrezia lo guardò negli occhi ostentando sicurezza e rispose “Non è di lui che voglio la rovina, ma di una persona che gli è molto legata... in ogni caso non avete nulla da perdere da questo affare: se è vero ciò che vi ho detto guadagnerete un regno, se è falso non avrete tolto al Principe che un insignificante sassolino e certo egli non ordinerà rappresaglie per questo”.
“Avete ragione” concordò il Signore “siete furba voi, anche se non so ancora quanto sincera. Potrebbe pur sempre trattarsi di una trappola. Inoltre non mi piace essere ingannato, per cui vi tratterrò nella mia residenza il tempo necessario per controllare quanto mi dite. Ma badate, se è una menzogna farete meglio a dirmelo subito perché se lo scoprirò da me vi farò tagliare la testa!”
Così fece corrompere un servo del suo nemico il quale frugò nella sua camicia e vi trovò la pietra prodigiosa, che prontamente andò a consegnare al suo nuovo padrone. Questi si legò il sassolino al collo e dette ordine che il più potente guerriero delle sue terre gli fosse portato al cospetto per provare il valore dell'oggetto reputato magico. Al guerriero venne detto che doveva battersi con il proprio signore e che questi possedeva un amuleto che lo proteggeva. Il guerriero fu sconfitto facilmente e il Signore poté esclamare: “È vero! Funziona! Per questo ho battuto il mio migliore guerriero, sebbene io non sia mai stato molto abile nel corpo a corpo!...Finalmente potrò togliere il trono al Principe e diventare il più potente. Egli, sempre bello, elegante e impeccabile, questa volta verrà umiliato davanti a tutti e sarà ridotto a strisciare ai miei piedi!”
Non appena si fu accorto del furto il Principe impallidì e cominciò a sudare freddo “Santo Cielo!” andava gridando per il palazzo “Me l'hanno rubata! Come è potuto accadere? Il Regno è perduto, io sono perduto!” Si rinchiuse nella sua stanza e da lì non volle più uscire. Il malvagio signore, invece, venuto in possesso del miracoloso oggetto, sentì dentro di sé la forza di dieci leoni, già pregustando l'agognata vittoria tanto a lungo vanamente inseguita. Disse ai propri generali che la vittoria era certa, poiché avevano dalla loro parte un amuleto magico che rendeva invincibile chiunque lo possedesse e i generali si sentirono d'un tratto degli strateghi formidabili. Essi dissero ai soldati che erano protetti da una portentosa magia e questi, da impauriti e demoralizzati com'erano, si fecero coraggiosi e intrepidi. Nel frattempo la notizia si era diffusa anche alla corte del Principe, quindi presso il suo esercito. Ai generali parve che tutte le nozioni di strategia militare fossero inutili in quel frangente e si mostrarono fiacchi e sfiduciati di fronte ai soldati. Questi, vedendo i loro capi in quello stato, pensarono che un nemico imbattibile stesse per attaccarli e che non ci fosse possibilità di vincere. Perciò da soddisfatti ed entusiasti quali erano, si trasformarono in un gregge indisciplinato e disorganizzato.
Il Signore, sentendosi invincibile, e con lui tutti i suoi uomini, mosse le sue truppe verso le terre del Principe senza nemmeno dichiarare guerra. Le difese del Regno vennero spazzate via in men che non si dica e ben presto anche la capitale fu espugnata. Gli invasori fecero razzia di tutti i villaggi che incontravano, massacrando senza pietà gli abitanti. Tutta la corte venne sterminata senza esitazione e il Principe e la Principessa furono fatti prigionieri.
Non appena Lucrezia seppe della vittoria si rallegrò, ma quando gli riferirono che sua sorella era stata imprigionata impallidì. “Crudele che sono!” si disperava “Per causa mia lei morrà! La mia adorata sorella verrà uccisa!”. Così si recò dal nuovo Sovrano del Regno per supplicarlo di risparmiare la vita della sorella. Ma quello era spietato e non volle sentire ragioni. Isotta e suo marito vennero giustiziati all'alba del giorno dopo in pubblica piazza. Lucrezia non ebbe il coraggio di guardare il raccapricciante spettacolo. Ma presto, le lacrime scomparvero e disse a se stessa “È me che il nuovo Principe deve ringraziare, solo me. Egli vorrà farmi ricca e potente per ricompensarmi. Ma si illudeva. Il nuovo Principe, fece tutto l'opposto, e mandò delle guardie per arrestarla. Le guardie le dissero che l'avrebbero impiccata l'indomani. “Ma come!” protestò gettandosi ai piedi del sovrano “Avevate detto che mi avreste ucciso solo se le mie parole si fossero rivelate false, ma vi siete accorto che non vi ho mentito!”.
Il Signore, senza neanche scomporsi, rispose “Io vi avevo detto che vi avrei fatto tagliare la testa se mi aveste mentito, ma non l'avete fatto e perciò la vostra testa resterà sul collo, soltanto, pendente da una corda” e sottolineò la frase con un sorriso beffardo.
“Ma perché? Perché?” continuava a ripetere disperata Lucrezia. “Perché” rispose flemmatico il monarca “Avete una tendenza piuttosto spiccata al tradimento, anche per una semplice antipatia, e come avete tradito vostra sorella e vostro cognato tradireste anche me che sono per voi un perfetto sconosciuto non appena ne avreste l'occasione, soprattutto perché potreste trarne un grande vantaggio, visto che ormai siete l'unica erede legittima ancora in vita. Voi non avete esitato a tradire vostra sorella, nonostante ciò che ha fatto per voi, non vedo dunque per quale motivo io dovrei esitare a tradire voi”.
Capendo che ormai non c'era null'altro da fare che rassegnarsi a quell'ineluttabile destino Lucrezia parve calmarsi. Ma volle fare un'ultima richiesta a quell'uomo che l'aveva condannata a morte.
“Se non posso vivere, vorrei almeno scegliere la dimora del mio corpo dopo la morte. Almeno questo, visto che vi ho permesso di diventare il padrone di queste terre, credo di poter domandare. Desidero essere sepolta vicino a mia sorella, ma... più in alto di lei e che la mia tomba sia finemente ornata e decorata, mentre la sua sia nuda e disadorna. E che sulla mia lapide venga scritto 'Qui giace la migliore delle due sorelle'. Se non lo sono stata da viva, lo sarò almeno da morta”.
Si narra tuttavia che, per ironia della sorte, i corpi delle due sorelle fossero scambiati per errore, cosicché sotto l'epiteto venissero a trovarsi le spoglie non di Lucrezia, ma di Isotta.
Il nuovo Principe credeva che ormai gli si prospettasse un fulgido avvenire di gloria e potere, quando, poco dopo la sentenza emanata contro Lucrezia, cominciò ad avvertire un malore.
“Deve trattarsi di un'indisposizione passeggera” si rassicurava il sovrano. Egli non si era accorto che la donna che gli aveva permesso di prendere il trono del Principe, e che lui aveva messo a morte, gli aveva iniettato con un ago una goccia di veleno potentissimo nella gamba quando gli si era gettata ai piedi. Ma apprese, da un oracolo fatto venire presso il suo giaciglio, che secondo una leggenda la pietra magica donava a chi la possedesse alternativamente trent'anni di fortune e trent'anni di disgrazie, dalla notte dei tempi in cui mano umana per la prima volta la toccò a oggi. E il caso volle che proprio quel giorno terminassero i trent'anni di fortuna e cominciassero quelli di disgrazie.
Si narra, che proprio nell'istante in cui il collo di Lucrezia venne spezzato dalla corda della forca, il Signore emanasse il suo ultimo respiro.
E così la morte pose fine alle crudeltà innescate dall'invidia di una donna. Eppure qualcuno ha giurato di aver visto una figura vicino alla sua tomba e che questa figura avesse capelli biondissimi, pelle chiarissima e occhi di un azzurro intenso.
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